Manuela Iona Iscrizione Ordine degli Psicologi Liguri n. 522.
Manuela IonaIscrizione Ordine degli Psicologi Liguri n. 522.

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Corso di formazione per Operatori Sanitari

 

Desidero orientare la vostra attenzione, la vostra curiosità, passando di argomento in argomento, ma soprattutto coinvolgendovi tutti in una discussione con me che possa essere pertinente al nostro tema.

Mettiamo quindi inizialmente a fuoco ciò che è pertinente.

 

Ci concentreremo sulla preoccupazione di accoglienza, cura e relazione  dei pazienti (con particolare attenzione per i pazienti psichiatrici) che incontrerete nella vostra professione.

L’incontro col paziente è per definizione un’occasione professionale  e di relazione.

 

Allo stesso modo la presa di coscienza di alcune dinamiche di gruppo potranno esservi molto utili nella gestione delle relazioni tra colleghi, tra il gruppo che cura e quello che viene curato.

Per intraprendere la via della conoscenza di voi stessi  e del vostro mettervi in  relazione  col paziente stabiliremo inoltre alcuni presupposti utili di carattere psicologico.

 

Ci serviremo di esempi clinici, confronto reciproco, psicodrammi, giochi di ruolo, feed-back, filmati.

All’interno del corso ci soffermeremo con particolare attenzione sulla particolarità dell’incontro e della relazione col paziente psichiatrico e di tutte le conseguenti reazioni stimolate: argomenti che costituiscono il cuore del nostro studio.

 

La base teorica farà riferimento alle  moderne Teorie Relazionali con riferimento a Klein, Winnicott, Balint.


 CONTENUTI DEL CORSO

  1. Gestione delle proprie risorse
  2. Motivazione propria e dei collaboratori e auto-motivazione
  3. Gestione dei conflitti
  4. Lavoro di gruppi/Tecniche d’analisi di gruppo/Esercitazioni
  5. Soddisfazione nel lavoro
  6. Conoscenze delle proprie responsabilità etico-deontologiche

 

 

 

1) Gestione delle proprie risorse

 

 

La conoscenza di voi stessi sarà di grande interesse proprio per non incorrere in quei tipici problemi dovuti al fraintendimento del messaggio che il paziente vi comunicherà e quello che invece appartiene psicologicamente a voi e potreste attribuire al paziente.

 

a) Conoscere sé stessi

b) Abbinamento conoscenze tecniche e caratteristiche personali

c) Pensare e comunicare con chiarezza

d ) Comunicazione verbale e non verbale

e)  Comunicazione empatica

2) Motivazione propria e dei collaboratori e auto-motivazione

L`importanza di rintracciare e conoscere la propria motivazione alla professione è fondamentale.

La motivazione è strettamente collegata alla conoscenza di sé stessi: spesso cause remote che affondano le radici nella vita infantile ci guidano inconsapevolmente attraverso le scelte che stiamo facendo e nei comportamenti quotidiani della nostra vita privata e lavorativa.

La motivazione al lavoro può essere fortemente diminuita a causa di vari fattori: mancanza di fiducia in sé stessi, preoccupazione, giudizi negativi, sensazione di mancanza di futuro, sentirsi non importanti.

Per risolvere il problema della demotivazione è necessario agire su due fronti: sull’individuo e sull’organizzazione.

 Leggi della motivazione

  1. Capacità di rinnovare la propria motivazione
  2. Tecniche d’auto-motivazione
  3. Conoscenza dei meccanismi di difesa

 

 

 

3) Gestione dei conflitti

Che cos`è un conflitto psicologico?  E`importante prendere coscienza dei propri conflitti soprattutto davanti a pazienti che si presentano con modalitá “atipiche”( come i pazienti psichiatrici) che stimolano negli operatori che li accolgono reazioni e sentimenti particolari difficili da ammettere e da gestire.

 

a) Riconoscimento di un conflitto in sé stessi e nei pazienti

   (Che fare?)

    b) Conflitti interiori scatenati dall’incontro col paziente

  1. Conflitti all’interno del gruppo/équipe di lavoro
  2. Il paziente psichiatrico
  3. Elementi principali per attivare e capire i bisogni dei pazienti

f)Capacità di separarsi dal paziente
 

4) Lavoro di gruppo

La partenza dalla propria esperienza personale (di lavoro o durante il corso stesso) e il successivo confronto dei contenuti tra i componenti del gruppo creerà la possibilità di conoscere e mettere a fuoco i punti essenziali.

La conoscenza, la fiducia negli altri, la paura, il dialogo, lo scambio sono elementi fondamentali della comunicazione interpersonale.

Il costituirsi di un gruppo di lavoro mescola questi fattori e li trasforma con significati e risultati molto interessanti di cui è utile servirsi

  1. Il gruppo come madre
  2. La comunicazione nel gruppo
  3. Aspettative sul gruppo
  4. Le competizioni/le alleanze all’interno del gruppo
  5. Come le nostre parti interiori possano corrispondere ai membri del gruppo
  6. Giochi di ruolo
  7. Psicodramma
  8. Feedback

 

 

5) Soddisfazione nel lavoro

Le gratificazioni ottenute nello svolgimento della professione hanno un ruolo significativo nell’esistenza delle persone: rinforzano il loro Ego, compensano altre mancanze, completano e armonizzano l’equilibrio psicologico individuale.

Al contrario le frustrazioni determinano una serie di problematiche.

La composizione di un insieme di  gratificazioni e frustrazioni rappresenta la condizione reale all’interno della quale si opera normalmente.

Quali sono le soddisfazioni realmente  ottenibili nella cura del paziente psichiatrico?

Quali sono le giuste aspettative che si possono avere?

Che cosa si deve osservare e perché?

  1. La relazione d’aiuto
  2. L’incontro col paziente psichiatrico
  3. Gratificazioni psicologiche e di relazione
  4. In che modo servirsi delle teorie (quanto aiutano e quanto ostacolano)
  5. Come distinguere le osservazioni dalle supposizioni
  6. Legami e componenti affettive

6) Conoscenze delle proprie responsabilità etico-deontologiche

 

 Rapporti tra psicologia ed etica nella professione infermieristica

 

Queste due discipline spesso si intersecano perché il contatto con la sofferenza e la diversità del paziente psichiatrico impongono la presa di coscienza di alcune regole di base e di meccanismi psicologici specifici.

 

    a) Che cosa realmente desidera il paziente

  1. Limiti dell`intervento terapeutico/assistenziale

c) La propria  coscienza

  1. Incontri coi familiari del paziente psichiatrico
  2. Rapporti con la società

 

A causa della particolare rilevanza dell`argomento:

 

Allegato al punto1) Gestione delle proprie risorse 

 

Brevi dati teorici a impronta psicoanalitica per una migliore conoscenza di sé (e degli altri).

In questa sede, occorre  e interessa solo fare chiarezza, sinteticamente, sulle varie teorie, che si traducono in modalità cliniche, che ci permettono di accostarci mentalmente e concretamente al paziente psichiatrico con maggior sicurezza.

Nello stesso tempo tutto questo ci sarà di grande aiuto anche nell’approccio col paziente non psichicamente disturbato.

 

Noi supponiamo che ci sia una parte inconscia nella mente: che esistano processi mentali inconsci.

Questa parte inconscia influenza i nostri pensieri e le nostre azioni per tutta la vita, ma, per definizione, non possono essere consapevoli.

Una volta che una parte della nostra mente inconscia diventa conscia  non è necessario che ci influenzi ancora nello stesso modo, nonostante i processi di cambiamento del pensiero e del comportamento  siano molto lenti.

Questo è stato l’interesse teorico, ma soprattutto pratico di Freud, il padre della psicoanalisi,

Senza questo presupposto egli non sarebbe stato in grado di spiegare una grande quantità dei fenomeni nei quali si imbatteva, d’altronde in questo modo egli scoprì la strada aperta di molte fertili nuove conoscenza.

 

Abbiamo accennato all’inizio al concetto freudiano di inconscio.

Freud inizialmente - nella Vienna fine’800 -per cercare di spiegare il funzionamento della mente umana si servì di alcuni modelli teorici-strutturali.

 

1) Il primo che inventò fu il modello topico (termine di origine greca che si riferisce all’individuazione di un luogo) che suppose l’esistenza di tre regioni non anatomiche ma metaforicamente collocate nell’apparato psichico su un asse verticale che va dalla superficie al profondo.

Il materiale mentale (ricordi, idee, desideri,fantasie o sentimenti)cosciente si dice che sia alla superficie della mente o nel conscio.

Il materiale immediatamente sottostante e che quindi può essere facilmente portato alla coscienza (semplicemente concentrando l’attenzione) si dice preconscio.

Infine il materiale quello che non può essere attraverso la concentrazione portato alla coscienza si trova nella regione più profonda della mente: l’inconscio.

 

Il grande obiettivo di Freud inizialmente fu di rendere conscio ciò che era inconscio.

 

 

2) Il secondo fu il modello dinamico in cui a conscio-preconscio-inconscio vennero sostituiti : Es, Io, Super Io (nel 1923)

L’Es comprende la parte delle pulsioni istintuali di una persona, tutti i desideri che derivano dai ricordi della soddisfazione dei bisogni fisiologici di base. (Un calderone di esitamenti ribollenti)

L’Io, in questa fase conteneva solo i contenuti consci della mente.

Il Super-Io ( prevalentemente inconscio) erige un complesso sistema di ideali e valori, divieti e comandi che controllano, giudicano e condizionano continuamente l’Io dell’individuo.

 

L’obiettivo era di portare l’Es sotto il controllo dell’Io e di analizzare il conflitto psichico.

 

 

3) Il terzo fu il modello economico che postulava l’organizzazione dell’energia psicologica nell’apparato mentale e chiarisce concetti come l’eccitazione e le forme e la natura della scarica.

All’interno poi di questi modelli se ne sono sviluppati molti altri.

 

 

Attualmente l’ampliamento del campo di azione della psicoanalisi ha prodotto un intenso interesse clinico per  i fenomeni associati al processo di separazione-individuazione e ha determinato quindi l’elaborazione di altri modelli teorici della mente. Faremo riferimento alla Teoria delle Relazioni Oggettuali.

Secondo questa teoria  Mélanie Klein concepì la mente  come costituita da elementi tratti dall’esterno, per lo più aspetti del funzionamento di altre persone.

Ciò si verifica per mezzo dei processi di interiorizzazione.

Questo modello spiega le funzioni mentali in termini di relazioni tra i vari elementi interiorizzati.

Questo tipo di approccio è particolarmente adatto al nostro campo d’interesse proprio perché alcuni autori  hanno paragonato la relazione madre-bambino a quella terapeuta-paziente.

Anche se la teoria tripartita delle strutture rimane la base più utile  per spiegare i conflitti intrapsichici, l’arricchimento apportato dalle Teorie Relazionali è fondamentale.

 

 

Allegato al punto 3) Gestione dei conflitti

 

 

Parleremo ora della natura, del carattere e dell’intensità di un incontro terapeutico con un paziente psichiatrico.

 

Esempi di incontri col paziente psichiatrico

 

Questi tre esempi servono per illustrare alcune tipologie di pazienti psichiatrici  che si possono incontrare nello svolgimento della professione infermieristica.

 

“La Signora A era spaventata e dimessa. Si comportava come un animale allarmato in attesa di essere attaccato e pronto ad attaccare. Sembrava sempre che si accucciasse, anche se in effetti si distendeva con le mani in tasca. Diceva molto poco e parlava con voce artificiale, le frasi venivano fuori a scatti.”

 

 

“Sara, di 17 anni,  da molto tempo era solita starsene distesa rigida in previsione di qualche oggetto che potesse precipitare su di lei e fracassarsi sulla sua testa. Questo oggetto a volte era descritto come una matterello, a volte come una pietra, a volte come una nuvola..

Se ne stava sveglia e terrorizzata a letto, spaventata di chiedere aiuto, Ascoltando in preda al panico.”

 

(Tratti da Enid Balint:” Prima che io fossi io.” Ed. Armando)

 

 

“La Signora M di circa 30 anni in attesa del suo secondo figlio , insegnante, agorafobia, deve essere accompagnata dappertutto da sua madre perché le crisi d’angoscia che l’hanno accompagnata per tutta la vita e che diventano vero e proprio panico negli spazi aperti, nei viaggi, impedendole di muoversi da sola, all’instaurarsi della gravidanza si sono molto accentuati  sino a divenire insopportabili”

 

(Tratto da: "Dall’amore al transfert-controtransfert e viceversa" di M. Grazia Minetti e Francesca Molfino)

 

 

“Una paziente bulimica e anoressica si strappava i capelli, Bessy, anch’ella bulimica e anoressica, batteva la testa contro le sbarre  del suo lettino al punto che occorreva metterle uno spesso berretto di lana. Attualmente, fa sanguinare i suoi nei e le sue escrescenze di carne.

Bona, che dopo sei mesi di terapia ha interrotto la sua condotta bulimica, continua tuttavia a grattarsi i pollici con il dito indice fino a deformare la sua prima falange e a sanguinare. La ragazza si gratta anche l’interno delle orecchie.

Quanto a Bettina, ex bulimica, mangia le sue secrezioni nasali. Un’altra paziente, anche lei bulimica un tempo, diceva di “rovinarsi la faccia” scorticandosi con una spilla ed accanendosi sui suoi brufoli.”

(Tratto da: “Alcuni aspetti della lotta delle donne per l’autonomia” di Janine Chasseguet-Smirgel  da “Affetti e Pensiero”.Ed. Moretti & Vitali)

 

Che cosa provoca nell`operatore l`ìncontro con questi contenuti del paziente?

 

Resistenze psicologiche, aggressività, estraneità, pena, tenerezza,  desiderio di dare protezione, senso di superiorità, senso d`impotenza…

Sono solo alcuni dei  possibili sentimenti derivanti dall`incontro con questi pazienti.

Distingueremo sempre  tra il primo incontro e i successivi.

Come rispondere alla domanda di aiuto del paziente e in particolare del paziente  psichiatrico armonizzando tecnica e risposta individuale sarà il nucleo attorno al quale oggi lavoreremo.

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Articolo AVO: “Le emozioni dei Volontari".

 

..”Un’unica condizione è stata concessa in sorte all’uomo: l’atmosfera della sua anima è formata da una combinazione del cielo con la terra..” (Fedor Dostoevskij: Lettere.

 

Le nostre emozioni ci accompagnano lungo il corso di tutta la vita.

Ci hanno insegnato a prenderci cura di noi stessi, ma spesso non abbiamo ricevuto una vera e propria “educazione emotiva”. Al contrario veri e propri tabù hanno permeato la nostra cultura provocando una concezione errata sulle emozioni e tutta la sfera dei sentimenti. Provare emozioni spesso corrisponde a un’idea di fragilità, debolezza. Nel corso della vita, inevitabilmente, proviamo anche forti emozioni: da bambini è sufficiente un brutto voto a scuola, in adolescenza una delusione verso il “primo amore”, progressivamente, una lunga serie di fisiologiche sensazioni tipiche dell’animo umano. Nonostante ciò spesso quando si provano sentimenti forti ci si sente sbagliati, soli, diversi.  A volte ci si sente completamente catturati dalle proprie emozioni e quindi si può averne paura. La sensazione di essere completamente fuori controllo, incapaci di controllare le proprie emozione fa scattare nella nostra sfera psicologica i meccanismi di difesa. Neghiamo le nostre emozioni, le trasformiamo o dimentichiamo.

Il volontariato offre, a chi lo intraprenda, degli stimoli emotivi intensi e specifici che vanno conosciuti dai volontari e gestiti per impedire che le difficoltà intralcino il volontariato stesso: occorre essere consapevoli di sé stessi, della propria storia e della propria sfera emotiva e non confondersi  con chi si ha davanti.

Sul lungo periodo solamente attraverso questo lavoro su di sé si può tollerare il contatto con la sofferenza e tenere lontano il logoramento.

La propensione all’aiuto nasce sempre da qualche nostra vicenda: spesso la nostra stessa esperienza ha più valore di quanto pensiamo: per esempio si può conoscere che cosa sia l’aiuto perché lo abbiamo a nostra volta ricevuto e desideriamo restituirlo, oppure avremmo voluto elargirlo a una persona cara e non abbiamo potuto farlo e di conseguenza cerchiamo una compensazione a questa mancanza aiutando altri. In altri casi abbiamo potuto conoscere quanto doloroso sia non ricevere aiuto quando se ne ha bisogno e non vorremmo che altri lo sperimentassero. Siamo sempre nel mondo delle emozioni.

Anche le migliori tecniche relazionali (C. Rogers) si basano su questi argomenti.

Le condizioni necessarie e sufficienti perché i processi interpersonali si dispieghino in modo costruttivo e l’aiuto si realizzi riguardano proprio le emozioni.


1) Genuinità del volontario

Il volontario deve  “essere sempre sé stesso, sempre in collegamento con i propri sentimenti e con ciò che nel rapporto si sta svolgendo dentro di lui, senza sentire la necessità di negarlo o di distorcerlo”.

“L’operatore genuino non nega la propria personalità, ma la esprime”.  In concreto questa disposizione porta  l’operatore a non innalzarsi sul piedistallo dato dal “ruolo” di esperto (a non sentire il piacere di essere superiore e di comunicarlo all’altro in forma implicita) né a proteggersi dietro il ruolo, per evitare un autentico coinvolgimento personale, necessario all’aiuto ma non sempre facile da sostenere. Essere sé stessi è necessario, ma in senso costruttivo. Occorre che il Sé dell’helper (la persona che aiuta) sia liberato da atteggiamenti distruttivi.

2) Accettazione incondizionata o considerazione positiva incondizionata

La persona che si aiuta deve essere accettata indipendentemente da ciò che fa, pensa o dice. Occorre comunicare un sincero interesse per la persona, senza contaminazioni di giudizio morale, né riprovazione, né approvazione. Il poter trovare un interlocutore non giudicante e affettuoso è la condizione essenziale per lo sviluppo di una buona relazione d’aiuto.

3) Comprensione empatica

Riguarda la capacità dell’helper di cogliere accuratamente la situazione personale di colui che gli sta di fronte: da ciò che dice e da ciò che è ( comunicazione verbale e non verbale). Empatia è “capacità di mettersi al posto dell’altro, di vedere il mondo come lo vede costui”.

Il primo bisogno del volontario è di affrontare e superare la sofferenza e gli stati emotivi evocati dalla  malattia e dall’età anziana ( paura, preoccupazione, cambiamenti di vita, auto-stima e stima degli altri, considerazione familiare e sociale, ecc..). Anche i volontari provano il sentimento della paura. Di fronte alla sofferenza e alla malattia è indispensabile nel volontariato guardarsi dentro, ammettere i propri limiti,  prenderne coscienza, condividerli e affrontarli insieme (per esempio tra volontari).

Le aspettative del volontario devono essere equilibrate, adeguate alla realtà dei malati. E’ indispensabile non pensare di poter intervenire oltre quello che necessita, guidati dal desiderio di aiutare, di poter risolvere problemi o malattie irrisolvibili (evitare sempre “sentimenti o comportamenti di onnipotenza salvifica”).

Accettare, profondamente e innanzi tutto dentro di noi, la realtà per come sia, è invece il giusto punto di partenza per aiutare chi soffre.

Davanti a un malato potrà capitare di provare anche sentimenti negativi:

Senso di disgusto, frustrazione, paura di non farcela, di non essere all’altezza, di sbagliare, di non saper aiutare, di dire o fare cose sbagliate, di rimanere impressionati, bloccati.

Scendere a patti con i propri aspetti fragili, lottare per superarli, capire da dove provengono sono punti di partenza costruttivi.

La presenza in reparto di un volontario che si relazioni in modo umile e consapevole è certamente più gradita di chi si ponga nei confronti dei malati con eccessiva sicurezza.

 

COME MIGLIORARE LE PROPRIE CAPACITA' EMOTIVE

 

Intelligenza emotiva e benessere salute psicologica

 

BENESSERE PSICOLOGICO

SALUTE FISICA E SOCIALE

CORPO, MENTE, RELAZIONI

 

I nuovi concetti sull’intelligenza riguardano l’Intelligenza Emotiva che si esprime come capacità di servirsi di altre capacità  superiori attraverso la gestione dell’esperienza emotiva. Tale abilità funziona ottimizzando la circolazione emotiva ed è centrale nel processo di adattamento quotidiano.

La salute mentale, il benessere sono il prodotto di 3 fattori:

PSICHICI, FISICI, SOCIALI

 

Le recenti scoperte neuro-psicologiche hanno inoltre evidenziato le aree cerebrali coinvolte dalle emozioni e nel 1990 Goleman ha approfondito le relazioni tra mente razionale e emotiva da cui si colgono i contributi dell’intelligenza emotiva al benessere psicologico..

I modi in cui viviamo i nostri stati d’animo generano modificazioni fisiologiche  che influenzano la durata e l’intensità dell’attivazione di aree cerebrali deputate  ai vissuti emotivi.

 

LE 5  ABILITA’ EMOTIVE


1)  La consapevolezza emotiva ( riconoscere le proprie emozioni nel momento in cui avvengono- segnali) (Carenza : alessitimia) no  reprimere

 

2) Il controllo emotivo (impulsi, aggressività interna, esterna)

 

3) Sapersi motivare (saper incanalare le emozioni verso un obiettivo, con costruttività, ottimismo, sapersi attivare, reagire alle frustrazioni)

 

4) Empatia ( capire la prospettiva dell’altro, soggettiva, condivisione emotiva, neuroni specchio)

 

5) Gestione efficace delle relazioni interpersonali ( capacità di negoziare i conflitti,  e rimuovere gli ostacoli, coppia, sociale, capacità di comunicare efficacemente, saper leggere i sentimenti altrui. Rende capaci nella conduzioni di gruppi, caratteristica dei LEADERS –ARTE SOCIALE) (carenza: isolamento, disadattamento, difficoltà relazionali)

Le capacità individuali nelle cinque aree che compongono l’intelligenza emotiva  producono degli effetti nella vita quotidiana. Buone abilità in un’area specifica producono vantaggi psicologici, in tutte: generale benessere e successo personale.

L’EVOLUZIONE DELLA RELAZIONE D’AIUTO

 Le relazioni di aiuto di tipo informale sono sempre esistite nella storia dell’umanità. Tuttavia è solo nell’era industriale che si sviluppano degli approcci di aiuto più strutturati. Per 10.000 anni gli esseri umani si sono trasmessi i tradizionali ruoli rurali di generazione in generazione. Poi improvvisamente, con l’avvento dell’era industriale, la condizione umana cambiò. Nuovi ruoli e nuovi rapporti vennero negoziati. A mano a mano che le condizioni di vita cambiavano e il benessere aumentava, le persone cominciarono a riflettere sulla loro nuova esperienza umana. Le prime scuole terapeutiche facilitarono questa riflessione  

Con l’avvento delle scienze sociali,  negli anni ‘60 si cominciò a studiare sulle metodologie per migliorare l’efficacia dell’aiuto professionale. Nel corso degli anni ’70 e ’80 le professioni di aiuto hanno subito una vera e propria esplosione quantitativa, sia nell’ambito sanitario, sia in  ambito sociale. Lo sviluppo del volontariato e della cosiddetta “terza dimensione”, ha portato a un movimento di operatori laici che si affiancano e interagiscono con gli operatori professionali.  Mai come in quest’ultimo trentennio, le società occidentali hanno avuto risorse così differenziate per l’auto-protezione.

Carl Rogers, grande psicologo umanista fu promotore dell’orientamento noto come “approccio centrato sulla persona”( “La terapia centrata sul cliente” Firenze,G. Martinelli Editore, 1970) molto utilizzato nei campi della formazione e sulla questione dell’efficacia delle professioni di aiuto. Chi aiuta deve sapersi collegare alla persona. Deve saper usare le sue doti personali, indipendentemente dalle tecniche. A tale scopo la conoscenza di sé stessi è il presupposto necessario per stabilire  una buona relazione d’aiuto.

 

Alcune tecniche relazionali:

 

Triade di atteggiamenti personali condizioni necessarie e sufficienti secondo Rogers perché i processi interpersonali si dispieghino in modo costruttivo e l’aiuto si realizzi.

 

1) GENUINITA’ DELL’OPERATORE D’AIUTO

 “essere sempre sé stesso, sempre in collegamento con i propri sentimenti e con ciò che nel rapporto si sta svolgendo dentro di lui, senza sentire la necessità di negarlo o di distorcerlo”..

“L’operatore genuino non nega la propria personalità, ma la esprime”. La genuinità implica la congruenza tra i livelli psicologici (fra ciò che si sente, ciò che si pensa, ciò che si fa e ciò che si è). In concreto questa disposizione porta  l’operatore a non innalzarsi sul piedistallo dato dal “ruolo” di esperto o di terapeuta (a non sentire il piacere di essere superiore e di comunicarlo all’altro in forma implicita) né a proteggersi dietro il ruolo, per evitare un autentico coinvolgimento personale, necessario all’aiuto ma non sempre facile da sostenere. Essere sé stessi è necessario, ma in senso costruttivo. Occorre che il Sé dell’helper sia liberato da atteggiamenti distruttivi.

 

2) ACCETTAZIONE INCONDIZIONATA O CONSIDERAZIONE POSITIVA INCONDIZIONATA

La persona che si aiuta è accettata indipendentemente da ciò che fa, pensa o dice Occorre comunicare un sincero interesse per la persona, senza contaminazioni di giudizio morale, né riprovazione, né approvazione. Il poter trovare un interlocutore non giudicante e affettuoso è per Rogers la condizione essenziale per lo sviluppo di una buona relazione d’aiuto.

 

3) COMPRENSIONE EMPATICA

Riguarda la capacità dell’helper di cogliere accuratamente la situazione personale di colui che gli sta di fronte: da ciò che dice e da ciò che è ( comunicazione verbale e non verbale). Per Rogers empatia è “capacità di mettersi al posto dell’altro, di vedere il mondo come lo vede costui”. Questa comprensione dell’altro “nei suoi significati più intimi e personali come se fossero i propri senza d’altronde dimenticare che in realtà non lo sono non deve essere troppo condizionata da emotività o determinata da affinità effettiva (in questo caso si tratterebbe di simpatia) nè troppo intellettualizzata.

 

I BISOGNI DEI MALATI E DEI  LORO FAMIGLIARI 

Il primo bisogno comune è quello di affrontare e superare la sofferenza e gli stati emotivi evocati dalla  malattia ( paura, preoccupazione, cambiamenti di vita, auto-stima e stima degli altri, considerazione familiare e sociale, ecc..).

Il volontariato offre, a chi lo intraprenda, degli stimoli emotivi intensi e specifici che vanno conosciuti dai volontari e gestiti per impedire che le difficoltà intralcino il volontariato stesso. Importante non essere mai “proiettivi”( non attribuire convinzioni, sentimenti propri all’altro),  distinguersi e non confondersi  con chi si ha davanti.

 

La  motivazione del volontario

Spesso la nostra stessa esperienza ha più valore di quanto pensiamo: avere personalmente ricevuto aiuto e conforto quando eravamo noi a soffrire, ad averne bisogno può motivare a ripetere l’esperienza positiva del donare e “restituire” ciò che abbiamo avuto.

Al contrario anche aver sperimentato il bisogno di sostegno, aiuto senza averlo  ricevuto, oppure il non aver potuto dare sollievo a una persona cara può essere una spinta, una motivazione al volontariato, ad aiutare gli altri. In tutti i casi sapere attraverso l’esperienza diretta  che cosa significhi avere bisogno di aiuto insegna meglio di qualunque manuale.

 

 

Le aspettative del volontario

 

Le aspettative devono essere equilibrate, adeguate alla realtà dei malati. E’ indispensabile non pensare di poter intervenire oltre quello che necessita, guidati dal desiderio di aiutare, di poter risolvere cose o malattie irrisolvibili (evitare sempre " sentimenti o comportamenti di onnipotenza salvifica" ).

 

Accettare, profondamente e innanzi tutto dentro di noi, la realtà per come sia,  a volte anche di una malattia incurabile è invece il giusto punto di partenza per aiutare chi soffre.

 

 

Le paure del volontario

Di fronte alla sofferenza e alla malattia è indispensabile nel volontariato guardarsi dentro, ammettere i propri limiti,  prenderne coscienza, condividerli e affrontarli insieme (tra volontari).

Davanti a un malato potrà capitare di provare:

Senso di disgusto,frustrazione, paura di non farcela, di non essere all’altezza, di sbagliare, di non saper aiutare, di dire o fare cose sbagliate, di rimanere impressionati, bloccati.

 Scendere a patti con i propri aspetti fragili, lottare per superarli, capire da dove provengono sono punti di partenza costruttivi.

La presenza in reparto di un volontario che si relazioni in modo umile e consapevole è certamente più gradita di chi si ponga nei confronti dei malati con eccessiva sicurezza.

Anche questo corso può essere utile per capire meglio alcuni aspetti di sé stessi , e avere maggior fiducia  nelle proprie risorse.

 

L’impatto con la malattia

La malattia è un evento naturale a cui possiamo rapportarci con pazienza, rassegnazione, ma anche spirito reattivo, fiducia in noi stessi, nella medicina e nella guarigione. Anche la morte è un evento naturale che la nostra società ha distanziato e reso tabù all’insegna di valori sempre vincenti e mai perdenti: spesso chi non è giovane, bello, sano e ricco viene svalorizzato. Anche chi fa volontariato può contribuire a smentire queste tendenze, valorizzare sempre le persone, aiutarle a non identificarsi con la malattia e conservare tutto ciò che costituisce un individuo.

Un buon inizio è ritrovare insieme ai malati i buoni valori per cui deve esistere uno spazio anche per chi non può più

(anche solo  temporaneamente) rendersi utile e spesso viene messo da parte.

 

Rapporti con i pazienti

Disponibilità e condivisione, ascolto.

Questi sono, a parer mio, i punti fondamentali del modo di porsi del volontario.

E poi affiancarsi, muoversi piano e nella valorizzazione delle piccole cose,  come per esempio dare unosguardo, una carezza.

Trasmettere calma e disponibilità è fondamentale, perchè il malato  possa “raccontarsi” e abbandonarsi per affrontare questo periodo della sua esistenza esprimendo i suoi stati d’animo.

Il rispetto, la buona educazione, la gentilezza sono le prime cose  che dobbiamo ai nostri malati.

 

Rapporti con i famigliari

 Saper ascoltare e capire anche i famigliari dei malati, è compito del volontario: accogliere e contenere i loro sfoghi , la loro preoccupazione o disperazione. Occorre avere un atteggiamento comprensivo per quello che  stanno provando mentre seguono un proprio caro malato e interpretare anche i loro sentimenti.

 

Rapporti con gli operatori

Essere volontari vuol dire anche distinguersi dagli operatori e non sostituirsi a loro. Agli operatori occorre chiedere che cosa sia opportuno fare. Gli operatori  del settore devono essere un punto di riferimento costante per i volontari.

 

L’ANSIA E L’ANGOSCIA DEL MALATO

La gestione delle proprie emozioni è fondamentale nel contatto con i malati e i loro famigliari e occorre imparare a conoscerle per non trovarsi confusi e in difficoltà.

Nell’offrire aiuto si possono provare diversi sentimenti: speranza, fiducia, soddisfazione, ma anche dispiacere, commozione, senso d’impotenza e di rabbia. Occorre averne coscienza e imparare ad elaborare le proprie emozioni.

Il volontariato può essere un’occasione di crescita psicologica e morale: saper accettare anche il dolore, le cose negative, le difficoltà.

 

L’ascolto e la comprensione dei pazienti

Ascoltare i malati permettendogli di esprimere i loro stati d’animo è sempre meglio che parlare. Sentirsi ascoltato, capito è di molto conforto per chi soffre.

Attraverso un attento ascolto il paziente percepisce l’importanza che gli stiamo offrendo, capisce di contare ancora anche nei casi in cui  non riesca a esprimersi bene.

Occorre dare spazio al malato, permettergli di esprimere i suoi stati d’animo e di raccontare quello che desidera.

Spesso i ricordi affiorano e vengono trasmessi solamente a chi è capace di ascoltare e questo dà ai pazienti ancora uno scopo, li fa sentire ancora parte della società,  non inutili o staccati dalla famiglia, dal lavoro..

A seconda dei casi e dei momenti  anche il silenzio può essere più efficace di qualunque parola.

Sempre valutando opportunamente può essere necessario arginare o contenere un eccesso di espressione di sentimenti negativi del malato come la rabbia o la sfiducia, la paura, la disperazione, per non aggravare stati d’animo problematici.

 

La consapevolezza del malato

Tra i malati ci sono persone più o meno consapevoli e in grado di accettare la malattia ed eventuali conseguenze:  occorre affiancarsi al vissuto individuale con cautela e sensibilità considerando ogni caso un caso a sè.

 

Comunicazione verbale e non verbale: modalità di approccio

Utilizzare l’empatia e  i “neuroni - specchio”(scoperta degli anni ’90 che spiega fisiologicamente la nostra capacità di porci in relazione con gli altri).

Empatia significa:

Capacità di decodificare gli stati emotivi vissuti da altre persone.

Mettersi nei panni dell’altro, condividere il suo stato d’animo, rispondere sulla stessa lunghezza d’onda, condividere le stesse emozioni. Creare nel malato la consapevolezza che siamo  molto vicini a lui: lui ha paura e anche noi abbiamo paura, lui è arrabbiato e anche noi lo siamo: però queste emozioni non devono sommarsi e raddoppiarsi, ma formare un terreno comune d’incontro dal quale partire per raggiungere obiettivi positivi.. potranno essere utilizzati “argomenti rompighiaccio” sempre orientati al “qui e ora”, senza particolari proiezioni nel futuro o nel passato.

 

Focalizzare l’attenzione sul malato

E’ importante anche il modo in cui comunichiamo, il tono della voce, l’espressione del viso, la postura del corpo. I pazienti sanno leggere quello che esprimiamo quando siamo impacciati, a nostro agio, insicuri o rilassati, disponibili o chiusi. Se comunichiamo dopo aver acceso la nostra attenzione anche su noi stessi non correremo il rischio di trasmettere cose che non vorremmo.

Una carezza, uno sguardo, un sorriso può comunicare più che molte parole, con tatto e sensibilità.

Occorre capire quando un paziente desidera parlare o comunicare e quando non lo desidera.  A volte può essere importante il contatto fisico: tenere la mano, far percepire la vicinanza per combatte il senso di solitudine e la paura.

Lo sguardo

Molti sguardi di persone ammalate cercheranno comprensione, aiuto, consolazione, calma, rassicurazione e anche lo sguardo ricevuto sarà cercato, capito. E’ un linguaggio universale: mai sottovalutare il suo potere.

Tranquillizzare il malato con lo sguardo e comunicargli che tutto sta andando bene, che può  rilassarsi, che deve affidarsi, demandare agli altri, a chi lo sta curando è fondamentale.

 

La gentilezza

Spesso la malattia e il malessere stimolano un approccio ansioso o aggressivo o comunque diverso da quello che si avrebbe nei confronti di una persona sana. Tenere presente la totalità dell’individuo e la dignità di chi è malato  metterà al riparo da questi  atteggiamenti.

 

Il rispetto

Chi soffre va rispettato anche se mostra aspetti sgradevoli di sè stesso: il nostro rispetto non deve diminuire, deve invece prevalere la coscienza che il dolore e la malattia prova le persone in tutti i sensi: fisicamente e moralmente.

 

L’elaborazione del lutto

In caso di malattia terminale  occorre un approccio sensibile e specifico.

Le fasi da affrontare nella malattia terminale

Kubler- Ross distingueva nei malati le seguenti fasi nella malattia terminale:

 

La rabbia

La ribellione

La depressione

Il patteggiamento

L’accettazione

La rassegnazione

 

Anche i volontari devono affrontare e superare il lutto quando seguono malati terminali e quindi conoscerne il percorso.

Occorre  che i volontari controllino l’eventuale riattivarsi dei loro lutti personali e il bisogno di elaborarli.

 

LE ATTIVITA’ CHE POSSONO ESSERE SVOLTE DAL VOLONTARIO

Il volontario  che opera con i malati fornisca ai malati  un’assistenza di tipo umanitario, libera dal ruolo professionale dell’operatore sanitario o sociale e quindi qualitativamente unica.

Il volontario comunica la sua disponibilità e generosità portando quindi un messaggio solamente positivo, non parla di dati medici, infermieristici e psicologici: ha un approccio più semplice, di tipo familiare.

Importante per i volontari sarà poter calibrare sulla persona interessata (personalizzare) il livello di confidenza, perché alcuni pazienti potranno anche voler mantenere la loro riservatezza oppure accettare il dialogo solo su pochi argomenti, o anche preferire la solitudine.

Occorre saper accogliere i segnali di desiderio di dialogo dei pazienti, regolandosi esclusivamente sugli argomenti proposti dai pazienti  senza seguire proprie idee o schemi prefissati.

Questi primi approcci potranno aiutare ad  intuire la disponibilità al dialogo e alla comunicazione  del malato.

Le attività di sostegno che possono svolgere i volontari sono varie: tenere compagnia, semplicemente, lasciando scorrere il tempo con calma, trasmettendo calma, tranquillità, se gradito anche leggere un brano di un giornale, di un libro, o accompagnare a piedi o con la sedia a rotelle (sempre solo dopo aver consultato un infermiere) all’interno del Reparto, in giardino. Importante è anche la comunicazione e il rapporto dei volontari con le famiglie dei malati.

In altri casi l’aiuto dei volontari  consiste (se richiesto dal malato o dai suoi famigliari) nel risolvere questioni pratiche che  richiedono tempo: pratiche burocratiche o incombenze quotidiane.

INSERIMENTO DEL NUOVO PERSONALE IN HOSPICE

 

SCOPO:

 

Ottenere un equilibrato e idoneo inserimento di un nuovo operatore nell'equipe già formata e lavorativamente attiva all'interno dell'Hospice.

 

DESTINATARI:

 

Assistenti sociali, Infermieri professionali, OSS, ASA che entrino nel gruppo di lavoro Hospice pre-costituito.

 

QUALIFICA:

 

Psicologo con eventuali altri collaboratori

 

FINALITA':

 

Semplificare l'inserimento in Hospice di un nuovo operatore mantenendo salda l'identità e la coesione dell'equipe di lavoro.

 

CARATTERISTICHE:

 

Il nuovo operatore che contatterà i difficili temi della sofferenza estrema,della malattia terminale e della morte sarà seguito dallo psicologo nel superamento delle sue

 

-          ansie e difficoltà personali

-          ansie e difficoltà d’inserimento nel gruppo di lavoro

 

Il nuovo operatore, al suo ingresso nel Nucleo, dovrà eseguire un colloquio con lo psicologo al fine di permettere di comprendere le sue:

 

-          motivazioni personali e professionali

-          attitudini

-          difese

-          difficoltà e ansie iniziali

-          aspettative

 

Il nuovo operatore usufruirà della formazione permanente curata dallo psicologo attraverso il gruppo di lavoro che opera ogni quindici giorni all’interno del Nucleo e dei colloqui individuali con lo psicologo progettati per una supervisione più accurata delle problematiche degli operatori.

Il nuovo operatore saprà di poter usufruire delle riunioni di gruppo guidate dallo psicologo per esprimere le sue reazioni emotive e confrontarle con gli altri e di avere anche a disposizione delle sedute individuali con lo psicologo per  affrontare eventuali problemi suscitati dal contatto coi pazienti terminali.

Le riunioni di reparto e di equipe completeranno la possibilità di entrare più facilmente nel suo ruolo per diventare poi parte integrante dell' organico Hospice.

 

Psicologicamente occorre lavorare da due punti di vista: partendo dai bisogni e dalle caratteristiche del Nucleo Hospice e contemporaneamente da quelle del nuovo operatore.

Armonizzare queste due posizioni significherà trovare i punti di contatto adeguati e imparare da ambo le parti ad usare gli strumenti che favoriscano questo processo.

L'equipe Hospice è un "gruppo primario o piccolo gruppo" (dagli 8 ai 25 membri) che si presta oltre che a fornire un'assistenza specializzata ai suoi pazienti a dare stimoli e possibilità di crescita per i suoi stessi componenti.

La crescita personale, la maturazione e l'apprendimento degli operatori sono quindi favoriti dalla condizione di lavoro in gruppo.

Ogni comportamento di un individuo in gruppo, e quindi ogni comunicazione, influenza gli altri e ne è a sua volta influenzato in un circolo continuo.

La circolarità dei rapporti nel gruppo comporta la retroazione o feed-back.

Il primo passo è rendere consapevole il nuovo operatore che il raggiungimento di obiettivi comuni rafforza il senso di appartenenza al gruppo di lavoro e che la motivazione personale ad appartenere al gruppo gioca un ruolo fondamentale. (1)

 

 

CHE COSA FA LO PSICOLOGO?

 

Per il raggiungimento di una maggior presa di coscienza da parte degli operatori lo psicologo si occuperà:

 

della rilevazione dei fattori di natura affettiva interni all`èquipe:

 

1) caratteristiche e affinità individuali

2) soddisfazione dei bisogni individuali diversificati

3) azione collettiva tesa al raggiungimento dello scopo

4) attrattiva di appartenenza al gruppo.

 

 

Caratteristiche e affinità individuali:

 

In Hospice occorre avere caratteristiche specifiche come la capacità di affrontare la malattia terminale e la morte dei pazienti. (2)

Il nuovo operatore sarà aiutato a tenere sotto controllo la sua emotività al fine di non portare ansie eccessive sul tema della sofferenza e della morte nel gruppo di lavoro:ciò potrebbe creare problemi di mancato compattamento e coesione e  potrebbe stimolare meccanismi di rifiuto oppure di aiuto nei suoi confronti fuorvianti rispetto ai pazienti.

Allo stesso tempo lo psicologo aiuterà gli altri membri dell' equipe a essere aperti e tolleranti verso di lui prevedendo un periodo di reciproco adattamento, ma cercando di valutare e favorire in modo equilibrato la  sua possibilità di integrazione nel gruppo (con l'aiuto delle riunioni oltre che con supervisioni individuali).

A questo proposito  possono scatenarsi nel gruppo di lavoro meccanismi tipici

sul mantenimento e l'assegnazione del ruolo.

                                                  IL ROLE PLAYING

 

 

 

Definito come “simulazione comportamentale”, centrato sul comportamento, serve, nella sua formula addestrativa,  a utilizzare l’esperienza come parte fondamentale dell’apprendimento.

 

Esercizi tratti dal Sistema di Stanislasvskij che ha dato origine alle tecniche  Actors Studio di New York.

 

Dopo una fase di “riscaldamento”del gruppo il role playing  è riconducibile a tre fasi:

 

1) ISTRUZIONI

2) SVOLGIMENTO

3) DEBRIEFING

 

 

Scelta degli “Attori”

Scelta degli “Osservatori”

Scambio dei ruoli.

Compilazione schede di valutazione da parte degli “Osservatori”.

Compilazione schede di valutazione da parte degli “Attori”.

Discussione in gruppo.

 

                                      SCHEDA DI OSSERVAZIONE ROLE PLAYING

 

 

Data-------------------------------------------------------------------------------------------------

Osservazione di------------------------------------------------------------------------------------

(indicare il ruolo osservato)-----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

Cosa fa----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

Come lo fa------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

Comportamenti verbali-----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------Comportamenti non-verbali------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

 

Firma-----------------------------------------------------------------------------------------------

  

Istruzioni: per l’attore Cliente

  

Il cliente è una persona irritante, insoddisfatta  che tende a lamentarsi di tutto.

Critica qualunque cosa e col suo atteggiamento e comportamento tende a minare l’autostima dell’operatore con cui entra in contatto.

 

 

Osservazioni come le seguenti possono dare dei suggerimenti sul ruolo da recitare:

 

“Quanto mi fate aspettare!”

“Non riesce a capire!”

“Cambi lavoro!”

“E’ troppo costoso!”

“Quella collana che indossa l’ho vista al mercato..”

“Volevo prendere un appuntamento anche per mia figlia, ma..”

“Ha sbagliato!” 

 

Gruppo di lavoro sull’Autostima

 

                            SCHEDA DI AUTO-OSSERVAZIONE ROLE PLAYING

 

 

                                                  IL ROLE PLAYING

 

 

 

 

Definito come “simulazione comportamentale”, centrato sul comportamento, serve, nella sua formula addestrativa,  a utilizzare l’esperienza come parte fondamentale dell’apprendimento.

 

Esercizi tratti dal Sistema di Stanislasvskij che ha dato origine alle tecniche  Actors Studio di New York.

 

Dopo una fase di “riscaldamento”del gruppo il role playing  è riconducibile a tre fasi:

 

1) ISTRUZIONI

2) SVOLGIMENTO

3) DEBRIEFING

 

 

Scelta degli “Attori”

Scelta degli “Osservatori”

Scambio dei ruoli.

Compilazione schede di valutazione da parte degli “Osservatori”.

Compilazione schede di valutazione da parte degli “Attori”.

Discussione in gruppo.

  

 

Istruzioni: per l’attore Cliente

 

 

Il cliente è una persona irritante, insoddisfatta  che tende a lamentarsi di tutto.

Critica qualunque cosa e col suo atteggiamento e comportamento tende a minare l’autostima dell’operatore con cui entra in contatto.

 

 

Osservazioni come le seguenti possono dare dei suggerimenti sul ruolo da recitare:

 

“Quanto mi fate aspettare!”

“Non riesce a capire!”

“Cambi lavoro!”

“E’ troppo costoso!”

“Quella collana che indossa l’ho vista al mercato..”

“Volevo prendere un appuntamento anche per mia figlia, ma..”

“Ha sbagliato!”

 

  

                             SCHEDA DI AUTO-OSSERVAZIONE ROLE PLAYING

 

 

Istruzioni per l’attore  Operatore

 

 

L’operatore deve svolgere il suo ruolo professionale correttamente, mantenendo la “giusta distanza” dal cliente senza lasciarsi coinvolgere a livello personale, relazionarsi  in modo equilibrato e non permettere che la propria autostima venga intaccata dall’atteggiamento del cliente.

L’incontro deve svolgersi all’interno di un clima tecnico e sereno per l’attuazione e il proseguimento delle attività lavorative con  un basso livello di logoramento degli operatori.

Contemporaneamente il cliente deve risultare soddisfatto dall’incontro con l’operatore e stabilire o mantenere un rapporto di fiducia con l’Istituto Sanitario.

 

 

 

1° Incontro Formativo

 

 

Prima parte

Lettura in gruppo e spiegazione relativa alla seduta di Role Playing

Scelta degli attori

Istruzioni

 

Seconda parte

Messa in scena della simulazione comportamentale

 

Terza parte

Discussione in gruppo delle sensazioni ed emozioni provate, riflessioni sull’autostima e il ruolo lavorativo.

Compilazione in gruppo della Scheda di osservazione Role Playing

 

Risultati

 

Sono stati messi in scena i ruoli dell’Operatore e del cliente. Alcuni operatori, a turno, hanno interpretato i ruoli. L’immedesimazione, nella maggior parte dei casi è stata buona e,  per qualcuno,  forse troppo partecipata. Alcuni operatori hanno riscontrato difficoltà. Questo ha permesso di sperimentare le emozioni del cliente e di rivivere il proprio ruolo, o quello dei colleghi, analizzandone le problematiche alla luce del fattore “autostima”.

Le istruzioni date agli attori erano appositamente “stimolanti” e “provocatorie” per l’autostima dell’operatore. Il vissuto del gruppo è stato di impegno per comprendere come lavorare efficacemente e migliorare il rapporto con il cliente. E’ stato anche un momento liberatorio per il gruppo di operatori  in relazione alle possibili frustrazioni subite con clienti particolarmente  difficili.  Il sollievo e la rielaborazione dei contenuti emotivi sono stati generali. 

 

2° Incontro Formativo

 

Prima parte

Compilazione individuale della pagina iniziale del “Questionario sull’Autostima”.

 

Seconda parte

Lettura condivisa in gruppo e discussione

 

Terza parte

Compilazione individuale del Questionario sull’Autostima

 

Quarta parte

Esecuzione del gioco di ruolo: “Parole-stimolo”.

 

Istruzioni

 

Il gruppo dei partecipanti, dopo aver argomentato sull’autostima, viene invitato a servirsi delle parole-stimolo per esprimere i contenuti che emergono nel proprio pensiero.

 

Risultati

 

Emerge dal gruppo un contenuto che evoca il desiderio di famiglia, di unione e relazione con l’altro.

Molti componenti del gruppo, durante il lavoro sull’autostima, hanno parlato dei rapporti affettivi.

Questi contenuti si sono riproposti, in modo spontaneo, sotto lo stimolo della libera associazione. L’autostima, in questo frangente, si collega all’avere delle buone relazioni.

 

 

Risultati del Questionario sull’Autostima

 

Il gruppo nel suo insieme non mostra particolari problemi di autostima.

Tutti i punteggi sono nella norma.

Metà del gruppo ha un livello di autostima buono: ha fiducia in sé stesso e riesce a superare gli ostacoli senza difficoltà. Crede fermamente in alcuni valori e principi, ma è disposto a modificarli se nuove esperienze dimostrano i suoi errori: non è rigido. Si confronta con gli altri in modo sereno, accetta le critiche, si sente uguale agli altri  e non ha sentimenti di inferiorità o superiorità.
L’altra metà del gruppo tende ad avere un livello di autostima elevato. Capace di resistere alle difficoltà emotive e materiali della vita potrebbe avere però difficoltà nel mettersi in discussione.

 

 

 

INSERIMENTO DEL NUOVO PERSONALE IN HOSPICE

 

SCOPO:

 

Ottenere un equilibrato e idoneo inserimento di un nuovo operatore nell'equipe già formata e lavorativamente attiva all'interno dell'Hospice.

 

DESTINATARI:

 

Assistenti sociali, Infermieri professionali, OSS, ASA che entrino nel gruppo di lavoro Hospice pre-costituito.

 

QUALIFICA:

 

Psicologo con eventuali altri collaboratori

 

FINALITA':

 

Semplificare l'inserimento in Hospice di un nuovo operatore mantenendo salda l'identità e la coesione dell'equipe di lavoro.

 

CARATTERISTICHE:

 

Il nuovo operatore che contatterà i difficili temi della sofferenza estrema,della malattia terminale e della morte sarà seguito dallo psicologo nel superamento delle sue

 

-          ansie e difficoltà personali

-          ansie e difficoltà d’inserimento nel gruppo di lavoro

 

Il nuovo operatore, al suo ingresso nel Nucleo, dovrà eseguire un colloquio con lo psicologo al fine di permettere di comprendere le sue:

 

-          motivazioni personali e professionali

-          attitudini

-          difese

-          difficoltà e ansie iniziali

-          aspettative

 

Il nuovo operatore usufruirà della formazione permanente curata dallo psicologo attraverso il gruppo di lavoro che opera ogni quindici giorni all’interno del Nucleo e dei colloqui individuali con lo psicologo progettati per una supervisione più accurata delle problematiche degli operatori.

Il nuovo operatore saprà di poter usufruire delle riunioni di gruppo guidate dallo psicologo per esprimere le sue reazioni emotive e confrontarle con gli altri e di avere anche a disposizione delle sedute individuali con lo psicologo per  affrontare eventuali problemi suscitati dal contatto coi pazienti terminali.

Le riunioni di reparto e di equipe completeranno la possibilità di entrare più facilmente nel suo ruolo per diventare poi parte integrante dell' organico Hospice.

 

Psicologicamente occorre lavorare da due punti di vista: partendo dai bisogni e dalle caratteristiche del Nucleo Hospice e contemporaneamente da quelle del nuovo operatore.

Armonizzare queste due posizioni significherà trovare i punti di contatto adeguati e imparare da ambo le parti ad usare gli strumenti che favoriscano questo processo.

L'equipe Hospice è un "gruppo primario o piccolo gruppo" (dagli 8 ai 25 membri) che si presta oltre che a fornire un'assistenza specializzata ai suoi pazienti a dare stimoli e possibilità di crescita per i suoi stessi componenti.

La crescita personale, la maturazione e l'apprendimento degli operatori sono quindi favoriti dalla condizione di lavoro in gruppo.

Ogni comportamento di un individuo in gruppo, e quindi ogni comunicazione, influenza gli altri e ne è a sua volta influenzato in un circolo continuo.

La circolarità dei rapporti nel gruppo comporta la retroazione o feed-back.

Il primo passo è rendere consapevole il nuovo operatore che il raggiungimento di obiettivi comuni rafforza il senso di appartenenza al gruppo di lavoro e che la motivazione personale ad appartenere al gruppo gioca un ruolo fondamentale. (1)

 

 

CHE COSA FA LO PSICOLOGO?

 

Per il raggiungimento di una maggior presa di coscienza da parte degli operatori lo psicologo si occuperà:

 

della rilevazione dei fattori di natura affettiva interni all`èquipe:

 

1) caratteristiche e affinità individuali

2) soddisfazione dei bisogni individuali diversificati

3) azione collettiva tesa al raggiungimento dello scopo

4) attrattiva di appartenenza al gruppo.

 

 

Caratteristiche e affinità individuali:

 

In Hospice occorre avere caratteristiche specifiche come la capacità di affrontare la malattia terminale e la morte dei pazienti. (2)

Il nuovo operatore sarà aiutato a tenere sotto controllo la sua emotività al fine di non portare ansie eccessive sul tema della sofferenza e della morte nel gruppo di lavoro:ciò potrebbe creare problemi di mancato compattamento e coesione e  potrebbe stimolare meccanismi di rifiuto oppure di aiuto nei suoi confronti fuorvianti rispetto ai pazienti.

Allo stesso tempo lo psicologo aiuterà gli altri membri dell' equipe a essere aperti e tolleranti verso di lui prevedendo un periodo di reciproco adattamento, ma cercando di valutare e favorire in modo equilibrato la  sua possibilità di integrazione nel gruppo (con l'aiuto delle riunioni oltre che con supervisioni individuali).

A questo proposito  possono scatenarsi nel gruppo di lavoro meccanismi tipici

sul mantenimento e l'assegnazione del ruolo.

 

 

COME FUNZIONA Il GRUPPO:

 

"L'essere umano è un animale gregario. Non può evitare di essere membro di un gruppo, anche in quei casi in cui l'appartenenza al gruppo consiste nel comportarsi in modo da dare la sensazione di non appartenere ad alcun gruppo."(3)

 

Il recipiente che contiene tutti i contributi dei membri di un gruppo viene chiamato "assunto di base o presupposto di base" del gruppo.

L'assunto di base di qualunque gruppo è caratterizzato da emozioni intense e primitive, e proprio per questo, è considerato fondamentale.

Questi impulsi emotivi esprimono qualcosa come fantasie di gruppo di tipo onnipotente e magico sul modo di raggiungere i suoi scopi o soddisfare i suoi desideri.

Questi impulsi, caratterizzati dall'irrazionalità del loro contenuto, posseggono una forza e una realtà che si manifesta nel comportamento del gruppo.

E' importante sottolineare che questi assunti di base sono inconsci e spesso contrari alle opinioni coscienti e razionali dei membri  che compongono il gruppo.

 

Gli assunti di base individuati da Bion (3) sono tre:

 

1)   assunto di base di dipendenza (ABD): qualcuno provvederà a soddisfare tutte le sue necessità  e desideri. Deve esistere insomma all'esterno del gruppo qualcuno  dotato di bontà, potenza, protettività ( una sorta di Dio).

2)   assunto di base di attacco - fuga (ABF): convinzione del gruppo che esista all'esterno del gruppo un nemico da cui bisogna fuggire attaccandolo o fuggendo.

3)   Assunto di base di accoppiamento (ABA): è la credenza collettiva inconscia che qualunque problema attuale o futuro del gruppo sarà risolto da un avvenimento futuro o da un essere non ancora nato, cioè una speranza di tipo messianico.

 

Tutti gli assunti di base sono stati emotivi tendenti a evitare le frustrazioni derivanti dall'esterno e, allo stesso tempo, ci consentono di comprendere meglio il funzionamento del gruppo.

I gruppi hanno delle tipiche modalità di organizzarsi per ciò che si riferisce al comportamento e alla leadership.

Il leader (lo psicologo nel gruppo di formazione e supervisione, il medico nelle riunioni di equipe, la caposala nelle riunioni di reparto) deve garantire il buon funzionamento del gruppo gestendone gli argomenti, le discussioni, i conflitti.

 

Questo breve cenno teorico deve servire a dare consapevolezza della complessità e delicatezza di alcune dinamiche gruppo e ridimensionare alcune possibili reazioni all'ingresso del nuovo operatore. Certe reazioni, quindi, non sono dovute a lui, come specifica persona, ma al gruppo in sé.

 

L'operatore, all'inizio del suo inserimento in equipe sarà aiutato a raggiungere un  punto di equilibrio adeguato all’interno del gruppo e a tenere presente che se si sentirà un po' rifiutato o sopravvalutato, non dovrà attribuirvi troppa importanza perché questa sarà solo una prima conseguenza dell'impatto col gruppo.

Il gruppo del Nucleo (guidato dallo psicologo) accoglierà il nuovo operatore attraverso dei meccanismi adeguati:

Lo psicologo chiederà al nuovo operatore:

 

-una breve autopresentazione (età, provenienza, precedenti esperienze di      lavoro

-la motivazione

-le aspettative

-le paure di fronte al tema della malattia terminale e della morte

 

Il gruppo (sotto il controllo dello psicologo) sarà tenuto a fare dei commenti e a dare delle risposte sugli argomenti esposti dal nuovo operatore con lo scopo di mostrare condivisione e incoraggiamento.

Il primo contatto e rispecchiamento del nuovo operatore col gruppo imposterà il lavoro successivo e costante di analisi e supervisione dei casi clinici e relazioni interne al gruppo.

Lo psicologo, il medico del reparto e la caposala potranno aiutare il nuovo operatore, nel suo inserimento in equipe.(4)

Il gruppo Hospice è un gruppo di lavoro che esige dai suoi membri capacità di collaborazione e sforzo, non si costituisce per valenza, ma grazie ad un addestramento specifico e maturità dei suoi membri.

Il gruppo deve affrontare un particolare e difficile contatto con la realtà della sofferenza e della morte e il controllo delle emozioni che in Hospice sono molto intense e continue.

Il nuovo operatore, al suo ingresso, sarà messo immediatamente al corrente delle regole e della "filosofia" dell'Hospice.

(Anche con lettura della "Carta Hospice")

Gli verrà chiesto di dare ai pazienti terminali dell'Hospice (più che in altri reparti) un' assistenza umana e personalizzata, riservatezza, rispetto dei diritti e della dignità della persona fino agli ultimi istanti dell'esistenza. (5)

Dovrà rendersi conto profondamente quanto possa essere difficile questo periodo della vita dei pazienti e loro familiari.

In questo reparto non si bada particolarmente alla durata dell'esistenza del paziente (2-6), dato che, da quando entra, purtroppo, è già un dato acquisito la vicinanza della sua fine.

Al nuovo operatore sarà resa evidente l’importanza, per il paziente Hospice, della qualità della sua esistenza: in Hospice si tende ad accontentare il più possibile i pazienti, con modalità ben diverse da quelle che verrebbero attuate all'interno di un ospedale.

Non è un caso se le stanze sono particolarmente accoglienti e arredate in modo da poter assomigliare ad una casa, se le finestre hanno tende colorate e si permette ai pazienti di chiudere la porta della propria camera quando lo desiderano e possono ascoltare musica o guardare la televisione anche di notte (a patto che non disturbino gli altri).

Per esempio, anche le luci della stanza sono gestite dai pazienti stessi: se le desiderano spente piuttosto che accese saranno gli operatori a doversi adattare con un piccolo sforzo in più.

Persino certi particolari architettonici sono stati studiati per rievocare luoghi della vita fuori dall'Hospice (piazze, strade, visuali geometriche ecc).(2)

Lo psicologo comincerà a rendere consapevole il nuovo operatore di dover essere particolarmente tollerante e comprensivo, cercando di mettersi empaticamente al posto del paziente e aiutandolo a sopportare questo difficile periodo tenendo conto che il paziente Hospice potrà essere molto:

 

  • nervoso
  • intollerante
  • arrabbiato
  • irrazionale
  • depresso
  • disperato

 

Lo psicologo avrà cura di puntualizzare al nuovo operatore alcune fondamentali caratteristiche del lavoro all’interno del Nucleo:

Per curarsi del paziente l’operatore dovrà imparare ad ascoltarlo molto di più, (7-8) tenere conto dei suoi sentimenti (per quanto possano essere lontani dai propri) e accettarlo integralmente come essere umano senza giudicarlo. Solo così potrà davvero aiutarlo.

Spesso i pazienti vogliono parlare con gli operatori, di piccole cose, magari per nascondere a loro stessi che stanno morendo, ma a volte anche per affermarlo.(10)

 

 

LE DOMANDE DEI PAZIENTI:

 

Lo psicologo, all’inizio dell’attività lavorativa degli operatori informerà su come poter rispondere ad alcune difficili domande che facilmente potranno venirgli poste dai pazienti dell’Hospice. Il primo importante passo che il nuovo operatore dovrà fare sarà quello di comunicare con il medico del reparto, la caposala, lo psicologo per conoscere la posizione psicologica del paziente riguardo il suo desiderio di consapevolezza dello stato della propria malattia: alcuni pazienti non desiderano davvero sapere tutta la verità:

 

  • Ø  per domande mediche (stato della malattie, terapie farmacologiche) : occorre rimandare il paziente al medico del reparto
  • Ø  per domande sull’avvicinarsi della propria fine: occorre allinearsi sulla sua stessa linea in una certa neutralità (non dare false speranze, ma non dare notizie o consensi catastrofici) e poi rimandarlo al medico del reparto
  • Ø  per domande sul luogo in cui si trova: dare risposte semplici, ma congruenti ( fare riferimento al  medico, alla caposala, allo psicologo e ai suoi familiari)

 

 

PRESA IN CARICO DELLE PROBLEMATICHE DEL REPARTO:

 

Il nuovo operatore sarà seguito dallo psicologo, medico del reparto e caposala affinché possa  farsi carico di:

 

  • situazione clinica dei pazienti
  • terapie da svolgere (con lettura delle cartelle cliniche e delle consegne medico-infermieristiche)
  • abitudini, bisogni e particolarità specifiche dei pazienti
  • conoscenza dei familiari e loro problematiche

 

Il nuovo operatore dovrà armonizzare le sue capacità tecniche con le sfaccettate esigenze dell'Hospice: da quelle dei pazienti e loro familiari a quelle dei colleghi che già lavorano in reparto e hanno una loro organizzazione. Solo così potrà interpretare e ottimizzare il suo ruolo.

Nella fase iniziale dell'inserimento sarà portato allo stesso livello di conoscenza teorica dei colleghi del Nucleo attraverso la lettura di fotocopie o articoli sugli argomenti già trattati dal gruppo di lavoro.

Il medico del reparto, la caposala, lo psicologo gli riserveranno lo spazio necessario per completare questo aggiornamento e soddisfare domande sugli argomenti specifici.

L'operatore che si inserisce in Hospice sarà incoraggiato a fare domande ai colleghi, al medico, alla caposala, allo psicologo: è stato constatato che la comunicazione comporti domande, dubbi e chiarimenti.(1)

Importante è anche rendere consapevole il nuovo operatore del cambiamento di prospettiva che deve attuare nel suo stile di lavoro (e dentro la sua testa): le cure palliative e l'attesa della morte implicano un modo di accostarsi al paziente del tutto nuovo.(9-2))

Rinunciare alla soddisfazione di veder guarire o anche solo migliorare i pazienti che si curano comporta un grande impegno psicologico.

Il nuovo operatore sarà indirizzato dallo psicologo a rapportarsi opportunamente anche con i familiari dei pazienti Hospice: sono solamente, costantemente e gravemente preoccupati e angosciati per la sofferenza dei loro cari e consapevoli della loro prossima fine e hanno bisogno di vicinanza, pazienza e comprensione.

I familiari dei pazienti stanno già elaborando psicologicamente un processo di separazione che comporta grande dispendio di energie e umore negativo: potranno esprimere anche con gli operatori tutto questo mostrando alle volte irritabilità, suscettibilità e scontentezza.(10)

Quello che viene chiesto agli operatori Hospice non è la sottomissione, bensì la comprensione e la capacità di rimanere materialmente e psicologicamente vicino ai pazienti e ai loro familiari (oltre che, naturalmente, di dare il loro apporto professionale). Potranno condividere con i colleghi il grave peso dei momenti più difficile attraverso una flessibilità e intercambiabilità specifica del reparto Hospice.

All'interno del reparto tutti sanno di avere forze limitate e per questo si danno il cambio con maggior facilità.

 

 

GRATIFICAZIONI:

 

Lo psicologo, renderà consapevole il nuovo operatore della possibilità di ricevere anche forti gratificazioni in Hospice, sia dai pazienti che dai loro familiari. A tal fine si farà supportare dai vissuti degli altri operatori che, al fine di favorire l’inserimento del nuovo operatore, stimolati opportunamente ne parleranno in gruppo.

I pazienti e i loro familiari provano molta commozione e riconoscenza sentendo di essere aiutati in un evento così "tabù nella nostra società come la sofferenza e la morte.(10)

 

 

Bibliografia:

 

1)   Paul Watzlawick, J.H.Beavin, D.D. Jackson: "Pragmatica della comunicazione umana". Ed. Astrolabio

2)    C.Melino e altri autori. " L`Hospice " Ed. Universo

3)   L.Grinberg D.Sor E.Tabak de Bianche di "Introduzione al pensiero di Bion"   Ed. Raffaello Cortina

4) R.A. Pisani: "Elementi di Gruppoanalisi". Ed. Universitarie Romane

     5) Massimo Reichlin: "L'etica e la buona morte". Ed. Comunità

     6) G. Maffezzoli : "Hospice s.Cristoforo". Ed. Cortina Verona

     7) S.Kanitzsa: "L` ascolto del malato."Ed. Guerini Studio

     8) Nissim Momigliano: "L'Ascolto rispettoso". Ed. Raffaele Cortina

     9) Giorgio di Mola:"Cure palliative". Ed. Masson

   10) M.D.Hennezel: "La morte amica" Ed.Bu

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