Nei mesi di aprile,
giugno e ottobre il gruppo
dello Sportello di
Psico - Oncologia di Finale Ligure
ha effettuato due
gite e una giornata in agriturismo.
Mese di luglio:
Gita con pranzo al Rifugio Pian dell'Arma - Caprauna (Cuneo)
Mese di ottobre:
giornata in agriturismo di Calice Ligure
SERVIZI SOCIALI DI FINALE LIGURE
ATTIVAZIONE DELLO SPORTELLO DI
PSICOLOGIA A SUPPORTO DELLE MALATTIE CRONICHE E ONCOLOGICHE
Con la collaborazione del dottor Marco Bertolotto, Direttore S.C. della Terapia
del Dolore e Cure Palliative dell’Ospedale Santa Corona di Pietra Ligure, del Presidente del Distretto Sociosanitario Finalese dottor Gianmario Massazza e della Psicologa e Psicoterapeuta dottoressa
Manuela Iona, il prossimo 4 Dicembre 2013 a Finale Ligure, presso lo Sportello Integrato Distrettuale sito in via Dante, 26 (Cupa-Finalesalute), si aprirà lo
Sportello di Psicologia a supporto delle Malattie Croniche e Oncologiche.
Totalmente gratuito per gli utenti, a carico della Città di Finale Ligure, sarà aperto ogni mercoledì, dalle ore 10 alle ore 12.
I Servizi Sociali del territorio Finalese attuano servizi ed interventi rivolti a persone che per problemi di ordine sociale,
sociosanitario, economico necessitano di accoglienza, sostegno e supporto.
L'apertura di uno Sportello Psicologico per Malati Oncologici all’interno dei Servizi Sociali, ampia uteriormente la gamma di risposte verso la cittadinanza, con lo
scopo di affrontare e risolvere problematiche psicologiche, relazionali e sociali inerenti queste malattie, tipicamente connesse al periodo della diagnosi, delle terapie e della
prognosi.
Il supporto sarà costituito da colloqui individuali con la psicologa e, per chi lo vorrà, da incontri di gruppo. Su richiesta del paziente potrà essere
anche fornito un contributo sulla gestione dei contatti con i medici curanti. I dati emergenti dal lavoro svolto saranno poi rielaborati, in forma anonima, per trarne utili
indicazioni e significati.
Nell’ambito di una serie di azioni volte a migliorare e specializzare la qualità degli interventi per la presa in carico delle persone con malattie oncologiche e
croniche nasce il progetto dello “Sportello di Psico-Oncologia” come risultante dell’esperienza fatta e come risposta alle esigenze di assistenza dei malati e dei loro familiari, per supportare e
comprendere il mondo interiore dei malati di cancro e cronici e favorire nei pazienti un migliore adattamento al periodo della malattia.
Il “Documento Tecnico per ridurre il carico di malattia del cancro anni 2011/2013” stilato dall’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) al paragrafo 3.2 “La
continuità assistenziale sul territorio” indica quanto segue: ”E’ necessario garantite una presa in carico globale del malato fin dall’inizio del percorso terapeutico attraverso un approccio
multidisciplinare e multidimensionale sostenuto da un’organizzazione dipartimentale che garantisca da un lato il miglior trattamento antitumorale (in termini di qualità, tempo e di coordinamento
degli interventi) dall’altro un precoce riconoscimento di eventuali altri bisogni (fisici, funzionali, psicologici, spirituali, sociali e riabilitativi) . L’approccio integrato vede come obiettivo la
cura del malato e non solo del tumore e oltre a garantire il miglior trattamento antitumorale …permette un inserimento precoce delle cure palliative e la riabilitazione e la prevenzione… (dolore,
supporto nutrizionale, supporto psicologico, spirituale e sociale ecc)…valorizzando gli interventi territoriali al pari di quelli ospedalieri.”
Gli insegnamenti di Luigi, un giovane malato
terminale ricoverato in Horpice
- Durante la mia esperienza di Psicologa presso l’Hospice della Fondazione Castellini
di Melegnano-Milano mi dedicai alla cura dei malati terminali con la possibilità di focalizzare diverse problematiche specifiche. Luigi aveva 24 anni e stava vivendo gli ultimi mesi della sua
esistenza presso l’Hospice. Non rinunciava a seguire le partite in televisione e parlarne con gli operatori. La stanza di Luigi era ricolma di simboli della sua squadra preferita di calcio. Bandiere,
maglie, un pallone firmato da calciatori, fotografie. Eravamo riusciti a collocarlo nell’ultima stanza del corridoio per evitargli di vedere altri malati terminali. Luigi non poteva più camminare e
non voleva mostrarsi con la sedia a rotelle; era il primo a percepire il paradosso che stava vivendo: così giovane e così ammalato. La nostra équipe fu concorde di non comunicargli la gravità della
prognosi a causa della sua giovane età che ne rendeva più dolorosa e complessa l’accettazione. Avevamo però la percezione che ne fosse cosciente. Tutti gli operatori dovevano utilizzare gli strumenti
appresi nella formazione per non negare la realtà quando il malato alludeva alla propria fine, ma non permettergli di giungere alla disperazione tenendo quindi costantemente sotto controllo le sue
emozioni. Gli operatori avevano l’incarico di non dare false illusioni a Luigi e cercare di mantenere un atteggiamento “neutro” di fronte alle sue domande sulla malattia, appellarsi al loro ruolo che
al non comportava la conoscenza dei particolari medici, segnalando invece al paziente la possibilità di rivolgere domande al medico. Queste importanti decisioni furono prese coralmente a seguito di
elaborazioni avvenute in riunione. Anche i genitori erano dello stesso avviso. La malattia di Luigi, gradualmente, danneggiava la mobilità dei suoi arti, l’udito, la vista. I genitori di Luigi erano
molto presenti ed efficienti in Hospice e non si assentarono neanche per un giorno. Gli operatori, durante i primi giorni del ricovero, cercavano di evitare il più possibile di entrare nella stanza
di questo malato. Quando me ne resi conto ne discussi all’interno della riunione settimanale che coordinavo. I vissuti degli operatori erano chiari e omogenei: Luigi era un ragazzo come loro ( gli
operatori erano mediamente molto giovani) e non sapevano come relazionarsi con lui: che cosa dirgli, che cosa dire o rispondere ai genitori e, inoltre, era troppo triste e psicologicamente oneroso
vederlo morire giorno per giorno: gli operatori sostenevano di poterlo seguire lungo il decorso della malattia ma non essere disponibili a erogare le cure necessarie nel suo ultimo giorno di vita.
L’équipe mostrava i suoi aspetti fragili e non si poteva permettere nessuna mancanza verso i malati. Ci concentrammo sul nostro senso di responsabilità: lavorare in un Hospice significa dover essere
pronti per tutti i malati terminali, indiscriminatamente. Luigi, effettivamente, fu il paziente più giovane che entrò in quella struttura ( per i quattro anni di mio incarico) : prendemmo coscienza
delle nostre intense reazioni emotive di fronte alla sofferenza e l’ineluttabile destino di una persona così giovane e attaccata alla vita. Una infermiera mi chiese un colloquio a causa del fatto che
Luigi le ricordava suo fratello morto in Romania pochi anni prima. Pianse molto, ma finalmente riuscì, con una serie di colloqui successivi, a elaborare il suo lutto. Luigi portò in reparto altre
cose positive. Una giovane OSS cominciò a scherzare con lui, rispondendo ai suoi segnali di comunicazione da ragazzo, ma senza trascurare i tecnicismi del suo lavoro. In gruppo parlammo di quanto
potesse essere utile e giusto scherzare con dei malati terminali. Non sarebbe stato un comportamento fuori luogo, stonato e odioso? Un operatore intervenne: ” Ma è solo un ragazzino, perché negargli
di poter scherzare se ne ha voglia? ”. Certo non era nel nostro ruolo decidere le modalità con cui i pazienti volevano trascorrere il tempo che gli rimaneva da vivere. Dopo le prime incertezze sembrò
a tutti noi che Luigi non aspettasse altro: stava eleggendo come sua operatrice prediletta proprio la ragazza che aveva scherzato con lui e chiedeva di essere sempre da lei accudito. Luigi si
comportava come un ragazzo non ammalato: non si poneva il problema di mostrare le sue simpatie e antipatie, si lamentava liberamente e cercava consolazione. Col tempo superò anche il pudore con
semplicità e rassegnazione. Ci aiutò a renderci conto che si trattava della sua vita vera, anche all’interno dell’Hospice. Il ricovero di un malato terminale non è transitorio, successivamente non
tornerà a casa, non ci sarà una situazione migliore. Luigi ci mostrò chiaramente quanto tutti noi desideriamo vivere, anche se per poco. Si impose alle nostre coscienze l’importanza di essere sé
stessi anche di fronte alla morte. Saper “cogliere l’attimo” in sintonia con un malato terminale diventò una acquisizione fondamentale del nostro stile di lavoro. Richiamai l’attenzione di tutti i
componenti dell’équipe - Hospice sulla necessità di esercitarsi a capire, distinguere il momento giusto per poterlo fare e affinare sempre più la sensibilità indispensabile nell’approccio a un malato
terminale. Luigi ci insegnò in modo semplice e diretto che cosa fosse il rispetto delle caratteristiche soggettive del malato. Ci mostrò come, fin dove sia possibile, assecondarne i desideri. I
genitori di Luigi vivevano in perfetta sincronia con il loro figlio ammalato: accettavano i suoi malumori e i momenti scherzosi, senza discutere, sempre accoglienti e disponibili a patto che Luigi si
sentisse “a casa”, con persone vicine, vibranti, serene. Era Luigi che insegnava e tutti noi operatori e familiari che, aprendo i nostri cuori e i nostri cervelli, abbiamo potuto apprendere. In poche
settimane l’intera équipe si comportò “da genitore ”verso Luigi. La genitorialità dell’équipe occupò lo spazio dei timori e nessuno fece mai riferimento alle incertezze iniziali nel prendersi cura
fino alla fine di un giovane malato terminale.